PASQUA 2021
Dagli scritti di Don Bosco. ”Arrivò l’ultima domenica in cui potevo radunare l’Oratorio sul prato. Era il 5 aprile 1846, la domenica prima di Pasqua. Non avevo detto niente a nessuno, tutti però sapevano che ero nei guai.
La sera di quel giorno fissai a lungo la moltitudine dei ragazzi che giocavano. Era la «messe abbondante» del Signore. Ma operai non ce n’erano. C’ero io solo, operaio sfinito, con la salute malandata. Avrei ancora potuto radunare i miei ragazzi? Dove?
Mi ritirai in disparte, cominciai a passeggiare da solo, e mi misi a piangere. «Mio Dio – esclamai – perché non mi indicate il luogo dove portare l’Oratorio? Fatemi capire dov’è, op-pure ditemi cosa devo fare».
Avevo appena detto queste parole, quando arrivò un certo Pancrazio Soave, che balbettando mi disse:
– È vero che lei cerca un luogo per fare un laboratorio? – Non un laboratorio, ma un oratorio.”
L’Oratorio per Don Bosco era tutto e lui era tutto per l’Oratorio.
Era il luogo dove avrebbe trascorso la sua vita con i ragazzi.
Era la casa per tutti quelli che non ce l’avevamo e anche per quelli che volevano vivere con lui: nonostante che i primi ragazzi ospitati gli avessero rubato materassi e coperte per ben due volte di fila.
Era la scuola per imparare a leggere, scrivere e far di conto.
Era il laboratorio per realizzare tutto quello che poteva servire per la vita di tutti i giorni e anche ricavare del danaro per comperare le materie prime: è così i ragazzi imparavano il mestiere del sarto, del calzolaio, del fabbro, del panificatore, del muratore, del tipografo, …, dell’elettricista, del meccanico tornitore e fresatore, del saldatore, del cuoco, del grafico, del termoidraulico, del riparatore d’auto e del carrozziere, del parrucchiere e dell’estetista, del segretario di impresa e del commesso.
Era il cortile per dare sfogo alla voglia di correre e giocare.
Era Chiesa: “da mihi animas et cetera tolle”.
“… Non so che differenza ci sia. Ad ogni modo il posto c’è. Venga a vederlo. È proprietà del signor Francesco Pinardi, persona onesta. Venga e farà un buon contratto.
Una scala e un balcone di legno tarlato.
Arrivava proprio in quel momento don Pietro Merla, mio compagno fin dal seminario, fondatore dell’opera pia chiamata Famiglia di S. Pietro. Era un prete molto bravo. Aveva fondato un’opera per aiutare le donne che erano state in carcere, e che proprio per questo non riuscivano a trovare un lavoro per guadagnarsi il pane. Quando don Merla aveva mezz’ora di tempo libero, correva a darmi una mano nell’assistere i giovani. Appena mi vide esclamò:
– Cos’hai? Non t’ho mai visto così malinconico. È capitata una disgrazia?
– Non è ancora capitata, ma sta per capitare. Oggi è l’ultimo giorno in cui mi permettono di usare questo prato per l’Oratorio. Fra due ore è notte e devo mandare a casa i ragazzi,
e non so dove dare l’appuntamento per domenica prossima. C’è qui un amico che mi stava parlando di un luogo forse utilizzabile. Sostituiscimi un momento nell’assistere i ragazzi. Io vado a vedere e torno subito.
Accompagnato da Pancrazio Soave, arrivai davanti a una casupola a un solo piano, con scala e balcone di legno tarlato. Attorno c’erano orti, prati, campi. Stavo per salire su per la scala, quando il signor Pinardi mi disse:
– No. Il luogo per lei è qui dietro.
Era una lunga tettoia (metri 15 per 6) che da un lato si appoggiava al muro della casa, dall’altro scendeva fino a un metro da terra. Poteva servire da magazzino o da legnaia, non per altro. Ci sono entrato a testa bassa, per non picchiare contro il tetto.
– Troppo bassa, non mi serve – dissi.
– La farò aggiustare come vuole – rispose cortesemente il Pinardi. – Scaverò, farò gradini, cambierò pavimento. Ma ci tengo che faccia qui il suo laboratorio.
– Non un laboratorio, ma un oratorio, una piccola chiesa per radunare dei ragazzi.
– Meglio ancora. Io sono un cantore e verrò a darle una mano. Porterò due sedie: una per me e una per mia moglie. E poi in casa ho una lampada: la porterò qui. Su, facciamo questo contratto.
Quel brav’uomo era veramente contento di avere una chiesa in casa sua.
– Mio caro amico – gli dissi – la ringrazio della sua buona volontà. Se mi garantisce che abbasserà il terreno di 50 centimetri, posso accettare. Ma quanto vuole d’affitto?
– Trecento lire. Mi vogliono dare di più, ma preferisco affittare a un prete, specialmente se vuol fare una chiesa.
– Di lire gliene do trecentoventi, a patto che mi affitti anche la striscia di terra che corre intorno alla tettoia, per farvi giocare i ragazzi. Deve però darmi la sua parola che potrò venirci coi miei ragazzi già domenica prossima.
– D’accordo. Contratto concluso. Domenica venga pure: sarà tutto a posto: era la Domenica di Pasqua!”
Oggi tutto questo è ancora.
Il 12 aprile 1846, Domenica di Pasqua, inaugurò la Tettoia Pinardi, che diventerà la piccola cappella dove si concentrerà l’attività di Don Bosco nei primi anni e dove molti ragazzi troveranno aiuto e ospitalità.
Era la Domenica di Pasqua anche quando Papa Pio XI canonizzò Don Bosco. Era il 1° aprile 1934.
(da ANS: https://www.infoans.org/sezioni/da-sapere/item/10166-la-pasqua-e-don-bosco)